Sicurezza sul lavoro: firmato l’accordo Stato-Regioni
La Conferenza Stato-Regioni nella riunione del 17 aprile 2025 ha approvato l’Accordo relativo alla formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008.
In particolare, il Governo, le Regioni e le province autonome concordano di procedere:
– all’individuazione della durata, dei contenuti minimi e delle modalità della formazione per tutti i soggetti per i quali è previsto l’obbligo formativo, compresi i lavoratori, datori di lavoro e lavoratori autonomi che operano in ambienti sospetti di inquinamento o confinati;
– all’individuazione delle modalità di verifica finale di apprendimento obbligatoria per i discenti di tutti i percorsi formativi e di aggiornamento obbligatori in materia di salute e sicurezza sul lavoro e delle modalità delle verifiche di efficacia della formazione durante lo svolgimento della prestazione lavorativa.
Resta ferma la facoltà per le Regioni e Provincie autonome di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Certificazione parità di genere. Più tempo per la formazione
Con Decreto del Ministero del Lavoro del 24 marzo 2025, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 2025, è stata disposta la proroga di 12 mesi dei termini di cui al Decreto del 18 gennaio 2024.
In particolare, si segnala che:
- le attività di formazione propedeutiche all’ottenimento della certificazione di parità di genere dovranno concludersi entro e non oltre il 30 giugno 2026 (invece che entro il 30 giugno 2025);
- la relativa rendicontazione dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2026 (invece che entro il 31 dicembre 2025).
Licenziamento del dipendente che spaccia droga: non è sempre legittimo
Dall’integrazione dell’obbligo di fedeltà, di cui all’art. 2105 c.c., con i principi generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., deriva che il lavoratore deve astenersi da qualsiasi condotta, anche extralavorativa e potenzialmente dannosa che sia in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della stessa, o sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto. In particolare, la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso; tali condotte, ove connotate da caratteri di gravità, possono anche determinare l’irrogazione della sanzione espulsiva.
Pertanto, non configura una giusta causa di licenziamento il fatto extralavorativo che consista in episodi di spaccio di stupefacenti ritenuti, in sede penale, di lieve entità, commessi da una dipendente addetta agli uffici interni che non aveva contatti con il pubblico né responsabilità operative o funzionali e che non aveva precedenti disciplinari. Tali circostanze hanno portato la Corte ad escludere la lesione del vincolo fiduciario e il pregiudizio per l’immagine e la reputazione aziendale, confermando l’illegittimità del licenziamento (Cass. 7793/2025).
Licenziamento durante il periodo di prova. Non si applica il termine di 60 giorni per l’impugnazione giudiziale
In caso di licenziamento durante il periodo di prova, non si applica il termine di decadenza previsto dall’art. 6 della legge n. 604/1966, come modificato dall’art. 32 della legge n. 183/2010, secondo cui «il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso».
Ciò in quanto le norme della legge 604/1966 si applicano «nei confronti dei prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio….. e per quelli assunti in prova, si applicano dal momento in cui l’assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro» (Corte di Cassazione, ordinanza dell’8 aprile 2025 n. 9282).

