Licenziamento per abuso dei permessi 104. La recente giurisprudenza sulle investigazioni e sulla nozione di assistenza

La ratio della disciplina in materia di permessi ex art. 33 comma 3 della L. 104/1992 è quella di assicurare la continuità delle cure e dell’assistenza familiare alla persona con disabilità, consentendo l’adempimento del dovere inderogabile di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost.

Come ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 213/2016, il permesso mensile retribuito è «uno strumento di politica socio-assistenziale basato sul riconoscimento della cura alle persone con disabilità in situazione di gravità prestata dai congiunti e sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale ed intergenerazionale».

Ne consegue che è necessario un diretto nesso causale tra l’assistenza e la fruizione del permesso, fruizione che comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore meritevoli di superiore tutela, come l’assistenza al familiare con disabilità.

Come anche di recente confermato dalla Cassazione, l’assistenza non può essere ricondotta riduttivamente al mero accudimento personale presso l’abitazione dell’assistito, ma deve necessariamente comprendere lo svolgimento di tutte le attività che la persona con disabilità non sia in grado di compiere autonomamente. Dunque, integra un legittimo uso dei permessi 104 lo svolgimento di incombenze amministrative e pratiche quali la spesa, i prelievi bancomat e, in generale, le commissioni finalizzate a soddisfare l’interesse del familiare assistito (Cass. 22643/2024).

Diverso, invece, è il caso in cui il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al familiare con disabilità manchi del tutto e il permesso venga utilizzato per finalità diverse: in tali ipotesi non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione, ma si è in presenza di un abuso del diritto, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro – che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale – che dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico.

È, pertanto, legittimo il licenziamento per giusta causa irrogato nei confronti del dipendente che utilizzi i permessi 104 per svolgere attività del tutto incompatibili con l’assistenza al familiare, quali le gite in barca a vela o la partecipazione ai tornei di golf, come nei recenti casi di cui si è occupata la Suprema Corte (Cass. 5906/2025; Cass. 2619/2025).

Tale principio trova applicazione non solo quando il permesso 104 sia destinato integralmente allo svolgimento di attività personali con totale mancanza dell’attività di assistenza, ma anche quando sia irrisorio il tempo dedicato al familiare da accudire; anche fare visite “lampo” di pochi minuti per ciascuno dei 3 giorni mensili di permesso integra abuso del diritto in quanto la fruizione dei permessi «deve essere funzionalmente collegata all’assistenza del familiare, senza necessità di coincidenza perfetta tra l’orario dei permessi e quello della prestazione assistenziale, ma con la necessità di un nesso causale diretto e rigoroso tra il tempo di assenza e l’attività di cura» (Cass. 5906/2025).

L’utilizzo improprio dei permessi 104 per l’assistenza di familiari con disabilità costituisce una condotta illecita del dipendente che il datore di lavoro può accertare facendo ricorso ad un’agenzia investigativa, al fine di procedere al licenziamento disciplinare.

L’attività investigativa deve essere svolta nel rispetto dei seguenti limiti:

  • le investigazioni non devono verificare l’adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, ma devono essere destinate ad individuare comportamenti illeciti che esulino dalla normale attività lavorativa e che siano tali da ledere la fiducia alla base del rapporto di lavoro. L’intervento dell’agenzia investigativa, dunque, non può tradursi in un controllo generalizzato sull’attività lavorativa, riservato esclusivamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori dall’art. 3 St. Lav. Il ricorso all’investigatore è giustificato solo per la verifica della «avvenuta perpetrazione di illeciti, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che essi siano in corso di esecuzione» (Cass. 6468/2024);
  • le investigazioni devono essere non eccessivamente invasive, rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei lavoratori, con le quali deve contemperarsi l’interesse del datore al controllo e alla difesa dell’organizzazione produttiva aziendale (Cass. 10636/2017);
  • deve essere rispettata la normativa in materia di privacy, considerato che i controlli effettuati tramite investigazioni costituiscono un trattamento di dati personali. Ne consegue che è lecito il trattamento dei dati acquisiti dalle agenzie investigative ove avvenga nel rispetto dei principi di minimizzazione, proporzionalità, pertinenza e non eccedenza rispetto ad uno scopo legittimo, trasparenza e correttezza (Cass. 9268/2025).

Conclusioni

L’abuso dei permessi ex L. 104/1992 rappresenta una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede alla base del rapporto di lavoro, idonea a minare la fiducia del datore e a legittimare il licenziamento per giusta causa. Condotte del genere possono essere smascherate mediante il ricorso ad agenzie investigative, autorizzate ad accertare la commissione di illeciti da parte del dipendente, purché l’attività investigativa rispetti alcuni limiti quali la privacy e la dignità del soggetto controllato nonché il divieto di sconfinare nel controllo sull’adempimento della prestazione lavorativa.

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