Con ordinanza n. 24100 del 28 agosto 2025 la Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo irrogato a un dipendente condannato in sede penale per “oltraggio alle forze di polizia e istigazione a commettere delitti di resistenza e delitti contro la persona”. In particolare, si trattava di un ultras resosi responsabile di una serie di illeciti considerati tali da ledere la sua figura morale e idonei a far venire meno la fiducia del datore di lavoro.

Anche le condotte extra-lavorative possono legittimare il licenziamento se consistono in gravi fatti di negazione di valori etici e lesivi di interessi meritevoli di tutela penale, come tali idonei a pregiudicare la statura morale del lavoratore, specie se incompatibili con lo svolgimento di prestazioni lavorative in diretta collaborazione con altri dipendenti dell’azienda.

Ancora una volta la Cassazione ha trattato un caso di presunto abuso di permessi 104 da parte di un dipendente che era stato fotografato dall’investigatore privato al mare tra le ore 8:00 e le 13:00 con il figlio, in due giorni di agosto su tre di assenza per permesso.

Tuttavia, il dipendente era riuscito a dimostrare di non aver utilizzato impropriamente i permessi 104 in quanto aveva provato di essersi recato in quei giorni ad assistere la madre dopo le ore 19:00 e nelle ore notturne nelle quali era necessaria la detta assistenza per particolari ragioni mediche.

Per questo motivo è stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento: la normativa in materia non richiede che l’assistenza debba essere prestata necessariamente in corrispondenza dell’orario di lavoro, ma può essere prestata nell’arco dell’intera giornata di permesso, trattandosi di permessi giornalieri su base mensile e non su base oraria (Cass. 23185/2025).

È legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che nei giorni dei congedi parentali abbia del tutto trascurato le attività di cura dei figli, aiutando prevalentemente la moglie nello stabilimento balneare da lei gestito.

Il diritto potestativo ai congedi parentali va esercitato per la cura diretta del bambino, per cui si configura un abuso del diritto in caso di svolgimento di qualunque altra attività che non si ponga in diretta relazione con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al figlio. La compressione dell’iniziativa datoriale ed il sacrificio imposto alla collettività in relazione ai costi sociali ed economici connessi alla fruizione del congedo parentale, giustificano una valutazione particolarmente rigorosa, sotto il profilo disciplinare, della condotta del lavoratore che si sia sostanziata nello sviamento dalle finalità proprie dell’istituto (Cass. 24922/2025).

L’attività consistente nell’indossare e dismettere la divisa aziendale rientra nel tempo di lavoro retribuibile, nel caso in cui si svolga in locali aziendali prefissati e in tempi delimitati dal datore di lavoro e riferibili all’interesse aziendale senza alcuno spazio di discrezionalità per i dipendenti (c.d. eterodirezione). Il lavoratore, dunque, ha diritto alla retribuzione per il cambio d’abito soltanto qualora dimostri lo svolgimento delle attività di vestizione e la svestizione prima e dopo l’orario di lavoro, secondo direttive rigorose impartite dal datore attraverso regolamenti aziendali.

Ciò accade, di norma, al personale sanitario che è tenuto per motivi di igiene a indossare la divisa secondo tempi e modalità imposte dalla struttura sanitaria datrice di lavoro. Resta fermo che l’onere della prova delle circostanze a fondamento della pretesa gravi sul dipendente che deve dimostrare la sussistenza dell’eterodirezione e l’effettivo svolgimento delle attività di vestizione e svestizione fuori dall’orario di lavoro (Cass. 24394/2025).

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