Diritti Lavori Mercati n. 3/2020
Introduzione
Il contratto collettivo di prossimità disciplinato dall’art. 8 della L. 148/2011 è uno strumento che offre alle imprese la possibilità di derogare, entro certi limiti e per specifiche materie, alle disposizioni di legge e di contratto collettivo nazionale per adeguarle alle condizioni e alle esigenze di organizzazione del lavoro di ciascuna azienda. L’articolo 8 L. 148/2011 demanda all’autonomia privata collettiva, ed in particolare alla contrattazione collettiva aziendale o territoriale, il compito di sottoscrivere specifiche intese efficaci erga omnes ed abilitate a derogare alla legge e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro, con riferimento ad un elenco tassativo di materie1.
La norma in questione rappresenta un vero punto di svolta nella regolamentazione dei rapporti di lavoro, poiché affida ai soggetti più vicini alle parti interessate (di qui la denominazione “contrattazione collettiva di prossimità”) “il compito di modulare ed adattare, attraverso intese idonee a derogare alle norme di legge e del contratto collettivo, le tutele dei lavoratori negli specifici contesti produttivi e in relazione alle reali esigenze delle aziende”2. La norma costituisce una rivoluzione dell’ordinamento sindacale italiano con un progressivo abbandono del sistema ccnl a favore di un nuovo equilibrio di potere contrattuale decentrato, con l’obiettivo di superare molte rigidità regolatorie3. Si tratta, infatti, di un intervento legislativo che ha inciso profondamente sulla materia dei rapporti tra contratti collettivi di diverso livello e, ancor più, su quella dei rapporti tra legge e contrattazione collettiva. La norma in esame ha determinato un “radicale rivolgimento del rapporto tra le fonti”4: anche prima del 2011, la giurisprudenza riteneva che i contratti aziendali potessero derogare in peius ai contratti nazionali, fatti salvi i diritti quesiti, ma era assolutamente inimmaginabile che la legge potesse essere derogata in senso peggiorativo dalla contrattazione collettiva. Si verifica, dunque, un vero e proprio rovesciamento del precedente sistema piramidale delle fonti del diritto sindacale, introducendo così nell’ordinamento una tecnica normativa attraverso la quale la norma imperativa (per sua natura inderogabile) diventa derogabile a seguito di un intervento da parte di un’altra fonte normativa espressamente individuata, quale è il contratto collettivo di prossimità a livello aziendale o territoriale5.
Alle perplessità della dottrina su questo piano si aggiungono i dubbi di costituzionalità legati al riconoscimento dell’efficacia erga omnes degli accordi di prossimità, efficacia che, ai sensi dell’art. 39 Cost., è condizionata a una specifica ed articolata procedura non riscontrabile nel caso di specie6. Fuori da tale procedura non dovrebbe trovare giustificazione la lesione della libertà sindacale determinata dall’applicazione dei contratti aziendali anche a chi sia iscritto al sindacato dissenziente7. Come si vedrà nei paragrafi seguenti, infatti, sebbene l’art. 39 Cost. non parli espressamente di contrattazione decentrata, riferendosi ai contratti di categoria, non appare convincente la posizione di chi delimita l’art. 39 seconda parte Cost. al contratto collettivo nazionale8.
Altra problematica concerne, poi, la verifica della validità dell’accordo specie con riferimento alla corrispondenza causale tra la disciplina derogatoria e la finalità dell’intesa: molteplici accordi sono stati dichiarati invalidi in sede giudiziale proprio a causa della mancanza di qualsivoglia indicazione specifica delle ragioni di fatto che correlano la disciplina derogatoria alle singole finalità previste dalla norma.
I contratti di prossimità e i rapporti tra legge e contrattazione collettiva e tra contratti collettivi di diverso livello
Uno degli aspetti più innovativi e al tempo stesso critici della disciplina introdotta dall’articolo 8 è il potere attribuito alla contrattazione di prossimità di disciplinare alcune materie derogando, anche in peius, alla disciplina legale e alla contrattazione collettiva nazionale.
Ai sensi del comma 2 bis dell’art. 8 L. 148/2011, infatti, fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese operano anche in deroga alle disposizioni di legge e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro. Dunque, tale norma ha determinato “un profondo cambiamento del tradizionale rapporto tra legge e contrattazione collettiva in virtù del quale alla seconda era prevalentemente, ma non esclusivamente, affidato il compito di incrementare il livello di protezione fissato dalla legge o, al più, di integrare precetti normativi volutamente incompleti”9. Cambia anche il rapporto tra la contrattazione nazionale e la contrattazione decentrata in quanto “da un sistema basato sul principio secondo cui la contrattazione secondaria poteva intervenire a disciplinare una materia solo laddove vi fosse espressamente delegata dal ccnl o dalla legge, si passa ad una nuova concezione secondo cui, in alcuni casi, essa può intervenire addirittura in deroga alle fonti normative gerarchicamente superiori”10. La ripartizione di competenze tra contratto nazionale e contrattazione decentrata, nell’ambito dell’ordinamento intersindacale, sin dall’accordo interconfederale del 23 luglio 1993 è stata, infatti, improntata alla centralità del primo ed alla funzione integrativa della seconda, la cui area di intervento è stata sempre definita in termini di delega11.
Peraltro, secondo la giurisprudenza maggioritaria la concorrenza tra discipline dettate da contratti collettivi di diverso livello deve essere risolta, non secondo i principi della gerarchia o della specialità, propri dei rapporti tra fonti legislative, ma accertando “la effettiva volontà delle parti sociali, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie disposizioni delle diverse contrattazioni collettive, aventi tutti pari dignità e forza vincolante”12. Ebbene, in caso di successione tra contratti collettivi, anche di diverso livello, è ammissibile che il nuovo contratto collettivo, in virtù del principio generale dell’autonomia negoziale di cui all’art. 1322 c.c., modifichi in senso peggiorativo il trattamento economico e normativo previsto dal precedente accordo collettivo13. Pertanto, anche prima del 2011, i contratti aziendali potevano derogare in peius ai contratti nazionali, senza che ostasse il disposto dell’art. 2077 c.c., con la sola salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori che non possono pertanto ricevere un trattamento deteriore in ragione della posteriore normativa contrattuale di uguale o di diverso livello14.
Quello che non sarebbe, invece, potuto accadere è che un contratto collettivo di secondo livello arrivasse a derogare in peius quanto stabilito da leggi o da atti aventi forza di legge15. La legge, insomma, rimaneva un baluardo a difesa dei diritti dei lavoratori inevitabilmente più esposti alla forza contrattuale dell’imprenditore e, dunque, portati a sottoscrivere condizioni lavorative gravemente lesive dei propri diritti.
È’ evidente, dunque, come la deroga consentita alle specifiche intese sia dirompente. Essa, tuttavia, è sottoposta a due tipologie di limiti, esterni e interni.
I limiti esterni sono costituiti dal rispetto della Costituzione, dai vincoli derivanti dalle normative comunitarie16 e dalle convenzioni internazionali sul lavoro. In sostanza la contrattazione collettiva non può essere sciolta da ogni vincolo nello stabilire la disciplina derogatoria17.
In altre parole, con l’art. 8 il legislatore dà all’interprete il gravoso compito di individuare quel nucleo di diritti inderogabili “cui lo statuto protettivo non può rinunciare, pena il contrasto con quei principi, garanzie e diritti che sono espressione di valori costituzionalmente tutelati, ovvero che discendono dall’adesione dell’Italia ad un sistema di valori sovranazionali espresso dalla sua appartenenza alla Comunità europea”18.
Oltre a questo limite di rango costituzionale e sovranazionale, il potere derogatorio incontra anche limiti interni riguardanti i criteri di rappresentatività sindacale legittimanti la stipula dell’accordo, l’oggetto degli accordi e la loro finalità19.
Il legislatore, infatti, ha selezionato i soggetti abilitati, i quali vengono individuati nelle “associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale” oppure, in alternativa, “dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011”. Ne consegue che qualora l’organizzazione sindacale non abbia nessuno dei due requisiti di rappresentatività, a livello nazionale o territoriale, gli accordi di prossimità eventualmente stipulati saranno radicalmente nulli.
Per quanto riguarda la ratio giustificativa delle specifiche intese, esse devono essere “finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività”. In sostanza il giudice deve verificare se le deroghe alle norme di legge e di ccnl contenute nelle specifiche intese costituiscono il mezzo per raggiungere almeno uno dei fini indicati dal legislatore.
Come anticipato, esiste poi il limite costituito dall’oggetto degli accordi: l’elencazione delle materie derogabili ha natura tassativa e non consente ampliamenti attraverso il ricorso ad interpretazioni analogico-estensive: trattandosi di norma avente carattere chiaramente eccezionale, non si applica oltre i casi e i tempi in essa considerati (art. 14 disposizioni sulla legge in generale)20. La natura tassativa dell’elenco di materie derogabili si desume sia dall’espressione utilizzata dal legislatore (“con riferimento” alle specifiche materie indicate), sia – ed ancor più chiaramente – dal dettato dell’art. 8, comma 2-bis, alla stregua del quale “le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”. Significa che l’effetto derogatorio previsto dal citato comma 2-bis opera in relazione alle materie richiamate dal comma 2 e non ad altre.
Sulla natura tassativa delle materie oggetto degli accordi di prossimità si segnala una recente sentenza del Tribunale di Milano21 relativa al caso di un accordo aziendale che disciplinava l’organizzazione della presenza in turno dei lavoratori necessari per garantire il servizio delle giornate di festività. Tale accordo non prevedeva la possibilità per il singolo operatore di rifiutare la prestazione nella giornata festiva comandata, ma solo di reperire una sostituzione.
Il giudice di I grado, nell’individuare la natura dell’accordo aziendale stipulato, ha evidenziato come esso abbia ad oggetto una tematica non contemplata dall’elenco di cui all’art. 8, recante una disciplina eccezionale, inapplicabile al di fuori delle ipotesi di stretta interpretazione ivi previste. La disciplina delle festività infrasettimanali, infatti, non ha alcuna attinenza con la materia dell’orario di lavoro in quanto non rimanda semplicemente alla tematica dei riposi: l’assenza dal lavoro è giustificata dall’esigenza di assicurare al lavoratore la possibilità di partecipare a cerimonie civili e religiose. Si tratta di un istituto peculiare che non è affatto contemplato dalla legislazione in materia di contratti di prossimità.
In particolare sui vincoli di scopo
Come previsto dall’art. 8, comma 1, per poter derogare alla legge e alla contrattazione collettiva nelle materie elencate, tali accordi devono essere finalizzati “alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, alla adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti ed all’avvio di nuove attività”.
La tipizzazione per legge delle finalità che devono essere perseguite dall’accordo derogatorio comporta che questo non possa prevedere una irrazionale o non ragionevole differenziazione di trattamento economico e normativo applicato a lavoratori che svolgono la medesima tipologia di attività; l’intesa derogatoria può introdurre un trattamento differenziato per i lavoratori purché tale differenziazione sia giustificata dal perseguimento delle finalità legislativamente individuate.
Da ciò emerge il carattere speciale della contrattazione di prossimità rispetto agli accordi territoriali e aziendali sottoscritti in esecuzione dei rinvii di legge in favore della contrattazione collettiva che non devono necessariamente essere finalizzati al raggiungimento di specifici obiettivi. Pertanto, in difetto della necessaria disciplina di raccordo tra contenuto derogatorio e finalità dell’intesa, l’accordo di prossimità non può ritenersi valido22.
Sul punto si segnala una recente pronuncia del Tribunale di Firenze relativa al caso di un lavoratore che aveva convenuto in giudizio la società presso la quale lavorava in qualità di Operatore assistenziale, inquadrato, in base al contratto di prossimità ex art. 8, nel livello A1 del ccnl Cooperative Sociali. Il dipendente contestava l’illegittimità del contratto di prossimità che, in deroga al ccnl, prevedeva un inquadramento inferiore per il lavoratore. Il giudice di primo grado, richiamando un orientamento interpretativo già espresso23, ha ritenuto che ai fini della validità dell’accordo di prossimità le parti devono indicare in maniera specifica le ragioni di fatto che correlano la disciplina derogatoria alle singole finalità previste dalla norma. Da ciò è conseguita la dichiarazione di invalidità dell’accordo impugnato che, in maniera molto generica, giustificava il sotto-inquadramento del dipendente con la finalità di maggiore occupazione, ma non precisava le circostanze di fatto che avrebbero determinato una simile esigenza24.
Si ricorda, poi, il caso del conducente di autotreni di terzo livello che aveva chiesto la condanna del datore di lavoro al pagamento dei compensi per lavoro straordinario per superamento delle 39 ore settimanali previste nel contratto individuale e per indennità di trasferta, calcolati in base agli artt. 13 e 62 del ccnl Spedizioni e Trasporto Merci, richiamato nel contratto individuale. In primo grado il giudice aveva ritenuto a lui applicabile l’accordo aziendale sulla forfetizzazione delle indennità di trasferta e della retribuzione del lavoro straordinario, e non dovute ulteriori differenze retributive per lavoro straordinario. In appello, invece, i giudici hanno rilevato come l’accordo aziendale non esplicitasse alcuna finalità di quelle elencate dall’art. 8, “limitandosi laconicamente a fare riferimento alla esecuzione delle linee guida di forfetizzazione firmate il 16.05.2001, senza nemmeno dare conto dei criteri con i quali alle linee guida si sarebbe data attuazione”25.
È’ stato, invece, considerato legittimo l’accordo aziendale adottato ai sensi dell’art. 8 L. 148/2011 (poi trasfuso nel successivo accordo raggiunto nell’ambito di una procedura di mobilità) con il quale le parti hanno previsto che coloro i quali non aderiscano all’esodo incentivato, pur avendone i requisiti, e siano destinatari nella successiva procedura di mobilità di un provvedimento di licenziamento, non hanno diritto a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso. L’accordo in questione, infatti, può legittimamente derogare in peius i contratti collettivi e le disposizioni di legge circa le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro (nella specie, il diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva del preavviso): esso, in una prospettiva di maggiore tutela dei lavoratori, era diretto a consentire il minor costo sociale dell’operazione e a salvaguardare la prosecuzione dell’attività di impresa e la relativa occupazione. La deroga, dunque, era stata introdotta proprio per far fronte a una ben nota situazione di crisi aziendale ed occupazionale26.
Sempre sui vincoli di scopo verte una pronuncia27 relativa ad un accordo aziendale che prevedeva l’attribuzione ai licenziandi di tre mensilità a titolo di indennità sostitutiva del preavviso in deroga alla diversa e più favorevole disciplina del contratto nazionale. Dopo aver chiarito che non si trattava di un accordo gestionale ex art. 5 L. 223/91, in quanto non diretto a procedimentalizzare il potere dell’imprenditore, ma a regolare il rapporto di lavoro, i giudici di merito hanno escluso l’applicabilità ad esso dell’art. 8 sulla base delle seguenti argomentazioni. Come detto, l’elenco delle materie di cui al comma 2 dell’art. 8 è di carattere tassativo in quanto la norma è eccezionale e, come tale, non si può applicare oltre i casi e i tempi in essa considerati. Una tale “eccezionalità” deve allora necessariamente guidare l’analisi dell’interprete che deve dare una stretta interpretazione non solo dell’elenco di cui al comma 2, ma dell’intera disposizione. Ne deriva che anche la previsione delle “specifiche intese” finalizzate a scopi predeterminati deve essere letta alla luce della natura eccezionale della norma e al fine di assicurarne l’applicazione solo nei casi espressamente previsti e non oltre.
La stretta interpretazione della disposizione di interesse è assicurata senz’altro dalla trasparenza e chiarezza delle deroghe e delle relative finalità: ciò è possibile solo ove le parti esplicitino il fine che perseguono così che sia possibile verificarne, anche in sede giudiziale, la corrispondenza con gli obiettivi indicati dalla legge, specifichino le norme legali e contrattuali che derogano e giustifichino la deroga in relazione alla finalità che assumono di perseguire. Fuori da queste maglie c’è il rischio che qualsiasi accordo aziendale, sottoscritto da soggetti di adeguata rappresentatività, possa derogare, non solo al ccnl, ma anche alla legge “purché richiami in una qualche sua parte una delle finalità individuate dall’art. 8”. Un’interpretazione del genere vanificherebbe il carattere eccezionale della norma e porrebbe nel nulla la previsione di “specifiche intese” aventi obiettivi predeterminati.
In mancanza dei presupposti sopra indicati i giudici di merito hanno, pertanto, escluso che l’accordo in questione fosse una “specifica intesa” di cui all’art. 8.
Infine, si segnala il caso in cui una società aveva, mediante una specifica intesa sottoscritta ai sensi dell’art. 8 L. 148/2011, disposto l’applicazione di un nuovo ccnl a decorrere dal marzo 2013 nonostante il ccnl precedentemente applicato non fosse ancora scaduto28. Tale pronuncia ha ribadito che i caratteri essenziali dell’intesa con efficacia erga omnes, anche derogatoria, di cui all’art. 8 vanno rinvenuti nei seguenti immancabili requisiti: le intese in parola devono essere specifiche, perseguire le finalità previste nel comma 1 del predetto art. 8, riguardare le materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione elencate nel comma 2 dello stesso art. 8 L. n. 148 del 2011, essere stipulate dai soggetti selezionati dal legislatore nonché essere sottoscritte secondo un criterio maggioritario.
Questo modello normativo non pare affatto rinvenibile nell’accordo di armonizzazione oggetto del giudizio difettando quest’ultimo sia dei necessari presupposti di specificità, sia delle finalità costituenti l’obbiettivo esclusivo dell’intesa. Infatti, la società invece di intervenire su precisi e ben determinati aspetti riguardanti l’organizzazione del lavoro e della produzione, aveva impiegato la contrattazione di prossimità solo per avallare un integrale ed anticipato rinnovo di contratto collettivo, prima della naturale scadenza di quello applicato ai propri dipendenti; l’integrale recepimento di un nuovo ccnl era l’unico obbiettivo perseguito dalla datrice di lavoro e l’ulteriore indicazione che la scelta “risulta(va) necessaria al fine di garantire non solo maggiore livello occupazionale e qualità del contratto di lavoro, ma anche la presenza aziendale nel contratto di riferimento” assumeva i connotati di una formale clausola di stile.
L’efficacia soggettiva degli accordi di prossimità
Ulteriore elemento di interesse della disciplina in esame è l’efficacia erga omnes degli accordi collettivi di prossimità che, dunque, si applicano a tutti i dipendenti dell’azienda, a prescindere dal fatto che siano o meno aderenti alle sigle sindacali che hanno sottoscritto gli accordi29.Tale previsione attribuisce agli accordi di prossimità una caratteristica interessante per le aziende in quanto consente di superare il problema della rilevanza del dissenso del lavoratore all’applicazione del contratto collettivo ablativo.
Sono stati rilevati nel tempo alcuni profili di incostituzionalità della norma e, in particolare, ci si è chiesti se essa sia compatibile con l’art. 39, co. 2 Cost. Per poter rispondere a questa domanda il primo passaggio da compiere è accertare se tale norma sia applicabile alla contrattazione decentrata; ammettendo che la norma costituzionale non si riferisca alla contrattazione decentrata, l’efficacia erga omnes della contrattazione di prossimità non si porrebbe in contrasto con la Costituzione.
Sul punto parte della dottrina30, facendo leva sul dato letterale, evidenzia che l’art. 39 Cost. fa riferimento non al “contratto collettivo” genericamente individuato, ma al contratto collettivo “di categoria”. Accanto al dato letterale, esistono anche ragioni di ordine logico essendo “il meccanismo delle rappresentanze unitarie costituite in proporzione al numero degli iscritti co-essenziale alla contrattazione superaziendale”31.
Esiste, poi, un orientamento difforme secondo cui il dubbio di carattere costituzionale non può essere risolto nei termini sopra esposti32: la necessità, anche a livello aziendale, “di una solida legittimazione democratica del potere sindacale, inevitabilmente in conformità alle previsioni del Costituente, discende anzitutto dalla tutela dell’individuo apprestata, in generale, dall’art. 2 della Carta costituzionale e, specificamente per chi presta lavoro, dal co. 1 dello stesso art. 39”33.
Pertanto, ammesso che sia vero che la normativa costituzionale non si applichi al contratto aziendale, essendo forgiata esclusivamente sul contratto di categoria, rimarrebbe il problema dei contratti territoriali: il concetto di categoria di cui all’art. 39 Cost. è piuttosto indistinto per escludere questa tipologia di contratti extra-aziendali34, che presentano caratteristiche affini ai contratti nazionali. Inoltre, se è vero che l’art. 39 si riferisce al contratto di categoria, è altrettanto vero che la norma costituzionale richiama il contratto nazionale di categoria in quanto esemplificativo del contratto “normativo” all’epoca maggiormente diffuso: il Costituente non aveva ragione di prendere in considerazione i contratti aziendali dal momento che la contrattazione collettiva nazionale era all’epoca assolutamente egemone35.
Da un punto di vista strutturale, poi, non sussiste una reale differenza tra i contratti collettivi nazionali e quelli aziendali in quanto entrambi svolgono una funzione normativa36.
Se, dunque, il contratto collettivo aziendale assolve una funzione equivalente, e cioè una funzione normativa, rientra naturalmente nel circuito regolativo dell’art. 3937.
Inoltre, il riferimento alle “categorie” va interpretato in chiave evolutiva come gruppo soggettivo di riferimento dell’attività negoziale, che ben può coincidere, pertanto, con l’ambito aziendale o territoriale. Pertanto, a causa della fisionomia oggi assunta dai contratti aziendali (e territoriali) non si può non ritenere che l’art. 39 Cost. trovi applicazione anche nei loro confronti: l’obiettivo di tale norma era ed è quello di assicurare che l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi sia espressione di una volontà maggioritaria dei sindacati, manifestata esclusivamente nelle forme da essa previste con la conseguenza che solo a questa condizione si possa sacrificare il dissenso delle minoranze38.
L’annoso dibattito dottrinale, relativo alla circostanza se l’articolo 39 si riferisca a qualunque meccanismo legislativo di estensione della efficacia della contrattazione collettiva ovvero unicamente alla contrattazione collettiva di livello nazionale, non è stato risolto dalla Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla possibile violazione degli artt. 39 e 117 Cost.39.
La Regione Toscana, infatti, aveva dedotto che la violazione dell’art. 39 Cost. da parte di un accordo di prossimità (come tale avente efficacia erga omnes) si sarebbe tradotta in una violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.: le specifiche intese sottoscritte a livello aziendale o territoriale, potendo derogare alle disposizioni di legge, anche regionali, sarebbero state in grado di vanificare la legislazione regionale emanata in materia di tutela del lavoro.
La Corte costituzionale ha chiarito che le materie indicate dall’art. 8 concernono aspetti della disciplina sindacale e intersoggettiva del rapporto di lavoro, riconducibili tutti alla materia dell’ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. Non è esatto, perciò, dire che le specifiche intese possano incidere sulla legislazione regionale emanata in materia di tutela del lavoro, demandata alla competenza concorrente tra Stato e Regioni (art. 117, terzo comma, Cost.). Vertendosi in materia demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, una eventuale violazione dell’articolo 39 (quarto comma), per mancato rispetto dei requisiti soggettivi e della procedura di cui al precetto costituzionale, non si risolve in una violazione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite40.
In sostanza, quanto al dedotto profilo di incompatibilità della norma con l’art. 39 Cost., la Corte non ha colto, come ci si sarebbe atteso, l’occasione per precisare se il fatto che l’art. 8 riguardi solo la contrattazione aziendale e/o territoriale escluda alla radice qualsiasi possibile contrasto con l’art. 39 Cost. e la sua mancata attuazione nel nostro ordinamento.
Abstract
Le novità introdotte dall’art. 8 L. 148/2011 in materia di accordi di prossimità sono state dirompenti offrendo alle imprese la possibilità di derogare, entro certi limiti e per specifiche materie, le disposizioni di legge e di contratto collettivo per adeguarle alle condizioni e alle esigenze di organizzazione del lavoro di ciascuna azienda. Nonostante i limiti interni ed esterni imposti dalla legge alle deroghe consentite, è stato inevitabile il sorgere di alcuni dubbi sulla possibilità di derogare in peius anche le disposizioni di legge, sulla efficacia erga omnes degli accordi di prossimità fuori dalle strette maglie dell’art. 39 Cost. nonchè sul concreto rispetto dei vincoli di scopo. La presente rassegna, pertanto, si pone l’obiettivo di analizzare le suddette problematiche e i più recenti approdi della giurisprudenza, individuando anche le questioni ancora aperte.
NOTE
1 Le materie sono le seguenti: “impianti audiovisivi e introduzione di nuove tecnologie; mansioni del lavoratore, classificazione e inquadramento del personale; contratti a termine, contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; disciplina dell’orario di lavoro; modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio”.
2 Tutte le sentenze citate sono reperibili sulla banca dati Leggi d’Italia. Trib. Mantova 9 novembre 2017 n. 195
3 Vicino, I contratti di prossimità dopo il d.l. n. 763 del 2013, in LG, 2013, 1, p. 63 ss.
4 Scarpelli, Il contratto collettivo nell’art. 8 d.l. n. 138 del 2011: problemi e prospettive, in (a cura di)Nogler, Corazza, Risistemare il diritto del lavoro, Franco Angeli, 2012, p. 721.
5 Menegotto, Rausei, Il possibile ruolo della contrattazione di prossimità, in Menegotto, Rausei, Tomassetti (a cura di), Decreto dignità. Commentario al d.l. n. 87/2018 convertito dalla l. n. 96/2018, ADAPT Labour Series, 2018, p. 186.
6 Vidiri, L’art. 8 della legge n. 148/2011: un nuovo assetto delle relazioni industriali, in RIDL, 2012, 1, p. 138.
7 Garilli, L’art. 8 della legge n. 148/2011 nel sistema delle relazioni sindacali, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”IT, 139/2012, 8-9; Tosi, L’accordo interconfederale 28 giugno 2011: verso una (nuova) autoricomposizione del sistema contrattuale, in ADL, 2011, I, p. 1221.
8 Zoppoli A., Il declino dell’inderogabilità, in q.riv., 2013, 1, p. 87; Rusciano, L’articolo 8 è contro la Costituzione, 8 settembre 2011, in www.eguaglianzaelibertà.it; Carabelli, Articolo 8, co. 1, e articolo 39 seconda parte, Cost.: i profili di incostituzionalità della norma con riferimento alla sancita efficacia erga omnes dei contratti collettivi da essa previsti, in RGL, 2012, p. 549 e ss.; Perulli, Speziale, Intervento, in F. Carinci (a cura di), Contrattazione in deroga, Milano, p. 192 e ss; Ferraro, Il contratto collettivo dopo l’art. 8 del decreto n. 138/2011, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, n. 129/2011, p. 31 ss.
9 Marazza, La contrattazione di prossimità nell’articolo 8 della manovra 2011: i primi passi della dottrina giuslavoristica, in DRI, 2012, 1, p. 42. Sul rapporto tra legge e contratto collettivo si vedano F. Carinci, Una svolta fra ideologia e tecnica: continuità e discontinuità nel diritto del lavoro di inizio secolo, in Aa. Vv., Studi in onore di Giorgio Ghezzi, Padova, 2005, p. 439 ss.; Cester, L’art. 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148: verso il tramonto (contrattato) delle tutele? in Atti del Seminario di Bertinoro, “All’inseguimento di un sistema stabile ed effettivo”, Bologna, 26-27 ottobre 2011; De Luca Tamajo, L’art. 8 del d.l. n. 138/2011: interpretazione e costituzionalità, in (a cura di) F. Carinci, Contrattazione in deroga, Ipsoa, 2012.
10 Mazzeo, Branda, Gli accordi di prossimità, Obbl. e contr., 2011, p. 11. Sul tema dei rapporti tra contratto aziendale e nazionale si segnalano Maresca, La contrattazione collettiva aziendale dopo l’art. 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, in DRI, 2012, p. 21 e De Luca Tamajo, Il problema dell’inderogabilità delle regole a tutela del lavoro, ieri e oggi, in Atti del Convegno AIDLASS Bologna, 2013.
11 Trib. Novara 18 aprile 2019 n.100.
12 Cass. 15 febbraio 2019 n. 4609
13 Cass. 29 ottobre 2015 n. 22126; Cass. 29 novembre 2011 n. 29675; Cass. 26 gennaio 2009 n. 1832.
14 Proia, Ancora sul rapporto tra contratti collettivi di diverso livello, in RIDL, 2020, 2, p. 9.
15 Mazzeo, op. cit., 11; Santoro Passarelli, Il contratto aziendale in deroga, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” .IT – 254/2015, p. 11.
16 Sul punto si segnalano le riflessioni di Delfino, Contratti collettivi di prossimità e deroga alle normative europee, in q.riv., 2012, 3.
17 Filì, Contrattazione di prossimità e poteri di deroga nella manovra di ferragosto (art. 8 D.L. n. 138/2011), in LG, 2011, 10, p. 977
18 Pessi, Indisponibilità del tipo e disponibilità regolativa, in RIDL, 2011, 4, p. 551
19 Picco, Il limite del trattamento contributivo nella contrattazione di prossimità ex art. 8 D.L. n. 138/2011, in LG, 2019, 5, p. 509.
20 C. cost. 4 ottobre 2012 n. 221 con nota di Ferraresi, L’articolo 8, decreto legge n. 138/2011, supera il vaglio di costituzionalità ex articolo 117 della Costituzione in tema di riparto di competenze tra Stato e Regioni, in DRI, 2013, 1, p. 164
21 Trib. Milano 30 luglio 2020, n. 1217
22 Alvino, I rinvii legislativi al contratto collettivo. Tecniche e interazioni con la dinamica delle relazioni sindacali, Jovene, 2018, p. 344; Tomassetti, Sulla legittimità dell’accordo di prossimità in materia di sottoinquadramento retributivo, in DRI, 2019, 4, p. 1221.
23 App. Firenze 20 novembre 2017 secondo cui ai fini della legittimità del contratto di prossimità e delle norme derogatorie ivi contenute, non è sufficiente il mero richiamo in via generale alle finalità enunciate nel disposto normativo, ma è necessario che le parti contraenti indichino in maniera puntuale le finalità perseguite e le circostanze di fatto che giustificano il ricorso al regime derogatorio.
24 Trib. Firenze 4 giugno 2019, 528, nota di Tomassetti, op. cit., p. 1221
25 App. Trento 21 luglio 2020. A ciò deve aggiungersi che i giudici di merito hanno evidenziato come si debba escludere che la forfettizzazione del compenso per trasferta e straordinario possa essere ricondotta alla disciplina dell’orario di lavoro ex D.Lgs. n. 66 del 2003, Reg. CE n. 561/06, D.Lgs. n. 234 del 2007 e direttiva 2002/15/CE, che regolano la durata massima della prestazione giornaliera, settimanale e mensile, il lavoro notturno, i riposi e le pause e così via, mentre le indennità di cui si discute appartengono alla disciplina della retribuzione.
26 Cass. 22 luglio 2019 n. 19660.
27 App. Firenze 20 novembre 2017.
28 Trib. Udine 18 settembre 2017.
29 Sul punto si vedano le riflessioni di De Luca Tamajo, Crisi economica e relazioni industriali: prime osservazioni sull’art. 8 della legge n. 148/2011, in DRI, 2012, 1.
30 Marazza, op. cit., p. 49
31 Magnani, L’articolo 8 della legge n. 148/2011: la complessità di una norma sovrabbondante, in DRI, 2012, 1, p. 6.
32 Sul punto si vedano le riflessioni di Ferraro, Il contratto collettivo dopo l’art. 8 del decreto n. 138/2011, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, n. 129/2011, p. 31 ss.; Rusciano, op.cit.; Carabelli, op. cit.; Ferraro, op. cit.; Liso, Osservazioni sull’accordo interconfederale del 28 giuno 2011 e sulla legge in materia di “contrattazione collettiva di prossimità”, in WP C.S.D.L.E. Massimo D’Antona.it, 2012, 1.
33 Zoppoli A., op. cit., p. 87
34 Carinci F., Al capezzale del sistema contrattuale: il Giudice, il Sindacato, il legislatore, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 133/2011, p. 29.
35 Mattone, Limiti di operatività e profili di illegittimità costituzionale della contrattazione aziendale in deroga ex art. 8 L. n. 148/2011, in LG, 2012, 5, p. 450.
36 Si pensi alla giurisprudenza della Corte costituzionale che differenzia i contratti collettivi non in base al livello di operatività, ma in base alla funzione esercitata e pone in un diverso ambito, rispetto ai contratti normativi, quelli c.d. gestionali (finalizzati a regolamentare singole vicende concrete connesse per lo più a situazioni di crisi e riorganizzazione aziendale), ai quali di certo non appartengono, per il loro contenuto, i contratti aziendali disciplinati dall’art. 8. Gli accordi gestionali, come quelli di cui all’art. 5 L. 223/91, non regolano i rapporti di lavoro, ma procedimentalizzano l’esercizio del potere datoriale costituendo un limite al suo esercizio. Si v. Corte cost. 30 giugno 1994 n. 268.
37 Ferraro, L’efficacia soggettiva del contratto collettivo, Quaderni Fondazione Marco Biagi, 2, 2011, p. 23.
38 Ferraro, Efficacia soggettiva del contratto collettivo, in RGL, 2011, I, p. 774.
39 C. cost. 4 ottobre 2012 n. 221 con nota di Covi, La prima pronuncia della Corte costituzionale sull’art. 8 l. n. 148/2011: la norma non invade la competenza regionale ma le «specifiche intese» non hanno un ambito illimitato, in RIDL, 4, p. 903.
40 Tiraboschi, Il via libera della Corte Costituzionale alla contrattazione di prossimità,in Guida al Lavoro, n. 41, del 19 ottobre 2012.

