Il patto di prova rappresenta un accordo accessorio nel contratto di lavoro subordinato, attraverso il quale datore e lavoratore valutano la reciproca convenienza del rapporto di lavoro. Tale valutazione è fatta nel corso del cosiddetto “periodo di prova” la cui durata varia a seconda della natura della prestazione richiesta e delle mansioni assegnate.
Infatti, durante il periodo di prova
- il datore di lavoro può verificare le capacità e le competenze del dipendente,
- il lavoratore può valutare le condizioni contrattuali, le mansioni assegnate e l’ambiente di lavoro.
Affinché il patto di prova sia valido, deve rispettare tre requisiti fondamentali:
- forma scritta (il patto deve essere formalizzato per iscritto);
- durata massima (non può superare i limiti stabiliti dalla legge o dai contratti collettivi);
- indicazione delle mansioni (devono essere specificate le attività che il lavoratore svolgerà).
Quanto dura il periodo di prova?
L’art. 7 del Decreto Trasparenza (D.lgs. 104/2022) stabilisce che il periodo di prova non può durare più di sei mesi, salvo diversa indicazione dei contratti collettivi.
Per i contratti a tempo determinato il periodo di prova deve essere proporzionato alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere. Sul punto di recente è anche intervenuto il Collegato Lavoro (L. 203/2024) specificando che la durata nei contratti a termine è pari ad un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 di calendario e in ogni caso non può essere inferiore a 2 giorni e superiore a
- 15 giorni, per i rapporti fino a sei mesi e
- 30 giorni, per quelli tra sei mesi e un anno.
Se durante il periodo di prova il lavoratore si assenta per malattia, infortunio, maternità/paternità obbligatoria il periodo di prova si prolunga per un tempo equivalente alla durata dell’assenza.
In tal modo il legislatore (art. 7 comma 3 Decreto Trasparenza) ha recepito un principio, quello della effettività della prova, più volte ribadito dalla giurisprudenza, secondo cui il decorso del periodo di prova non avviene nei giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso e che impediscono alle parti, anche se temporaneamente, la verifica della reciproca convenienza del contratto di lavoro.
Recesso durante il periodo di prova
Secondo l’art. 2096 c.c. durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d’indennità.
Si tratta di un’ipotesi di libera recedibilità dal rapporto di lavoro: dal punto di vista del datore il periodo di prova è uno strumento di verifica delle capacità professionali e delle attitudini del lavoratore per cui è possibile recedere senza necessità che sussista una giusta causa o un giustificato motivo qualora queste capacità e attitudini si rivelino diverse da quelle attese.
Ne consegue che il recesso nel corso o al termine del periodo di prova non deve essere motivato neanche nel caso in cui il lavoratore contesti la valutazione delle sue capacità e del comportamento professionale. Pertanto, in caso di contestazione, sarà il lavoratore a dover provare il positivo superamento del periodo di prova e che il recesso sia stato determinato da un motivo illecito e, quindi, estraneo alla funzione del patto di prova (Cass. 23927/2020).
Resta fermo che l’imprenditore «è tenuto a consentire l’esperimento che forma oggetto del patto di prova», come previsto dall’art. 2096 c.c. La legittimità del licenziamento intimato durante il periodo di prova, dunque, può essere contestata dal lavoratore quando il periodo di prova sia stato talmente breve da non consentire ragionevolmente di accertare le competenze professionali del lavoratore (C. Cost. 189/1980).
Reiterazione dei periodi di prova
Secondo l’art. 7 comma 2 del Decreto Trasparenza in caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova.
Si tratta di un principio già espresso dalla giurisprudenza di legittimità che ha sempre escluso la stipula tra le stesse parti di patti di prova successivi aventi ad oggetto lo svolgimento delle medesime mansioni. La funzione del patto di prova, infatti, consiste nel consentire a datore e lavoratore – come detto – di valutare la reciproca convenienza del contratto, per cui è illegittima la reiterazione dei periodi di prova aventi ad oggetto le medesime mansioni in quanto il datore ha già verificato le capacità professionali del dipendente.
Si segnala, tuttavia, che la Cassazione ha considerato legittima la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti aventi ad oggetto le medesime mansioni nel caso in cui intervengano fattori attinenti, ad esempio, alle abitudini di vita, a problemi di salute del lavoratore o al contesto di svolgimento della prestazione; è evidente che in tali ipotesi il datore di lavoro ha bisogno di verificare che le circostanze nuove non abbiano inciso sulle capacità e sulle attitudini del dipendente (Cass. 28930/2018; Cass. 7984/2020).

