Labor n. 6/2020
Sommario: 1. Introduzione. – 2. La natura della responsabilità ex art. 2087 c.c. – 3. Il riparto dell’onere probatorio: cosa deve provare il lavoratore? – 3.1 Segue. L’onere probatorio del datore di lavoro. – 4. Le cause di esclusione della responsabilità ex art. 2087 c.c. – 5. L’inadempimento del datore e l’eccezione di inadempimento del dipendente. – 6. Conclusioni
Sinossi. Dopo una panoramica sulla natura della responsabilità ex art. 2087 c.c., l’autore si sofferma sui più recenti approdi della giurisprudenza di Cassazione in materia di riparto degli oneri probatori tra lavoratore e datore di lavoro evidenziando come l’esclusione della natura oggettiva della responsabilità renda necessaria una prova rigorosa sia da parte del dipendente che da parte del datore e soffermandosi, pertanto, sulla nozione di “nocività dell’ambiente di lavoro” e di “misure idonee ad evitare il danno”. Successivamente il contributo pone l’attenzione sulla annosa questione della irrilevanza del concorso di colpa del dipendente nella causazione dell’evento dannoso dando atto, tuttavia, dei casi in cui il suo comportamento sia idoneo ad escludere il nesso di causalità tra l’inadempimento datoriale e il danno, comportando l’esonero da responsabilità. A chiusura del contributo si pone l’attenzione anche su alcuni possibili strumenti di autotutela a disposizione del dipendente, quali l’eccezione di inadempimento, e dei relativi limiti posti dalla giurisprudenza alla sua applicazione.
Abstract. After an overview on the nature of liability pursuant to art. 2087 of the Italian Civil Code, the author focuses on the most recent additions of the case law regarding the employee and employer’s evidences, highlighting how the exclusion of the objective nature of liability makes rigorous the proof necessary both by the employee and by the employer and dwelling, therefore, on the notion of “harmfulness of the work environment” and “suitable measures to avoid damage”. This jurisprudence review focuses also on the question of the irrelevance of the employee’s fault in the cause of the harmful event, however, acknowledging the cases in which his behavior is suitable to exclude the causal link between the employer default and damage resulting in exemption from liability. At the end, attention is also paid to some possible protection tools available to the employee, such as the exception of default, and the relative limits set by the jurisprudence on its application.
Parole chiave: Responsabilità ex art. 2087 c.c. – Onere della prova – Esonero da responsabilità – Condotte abnormi – Rischio elettivo – Eccezione di inadempimento
1. Introduzione
Il contratto di lavoro non si configura esclusivamente quale scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione in quanto implica anche l’insorgenza di obblighi di natura non patrimoniale quale quello di tutela dell’integrità fisica e morale del lavoratore, previsto dall’art. 2087 c.c.[1]
Tale norma costituisce «il cardine di tutto il sistema prevenzionale della tutela della salute nei luoghi di lavoro»[2] rivestendo una «funzione generale di garanzia, allo stesso tempo di apertura, integrazione e chiusura del quadro ordinamentale di tutela della sicurezza»[3]. Essa da un lato è fonte di obblighi contrattuali nell’ambito del rapporto che lega l’imprenditore al dipendente e dall’altro è fonte di un dovere di sicurezza che assume profili di natura pubblicistica in ragione delle finalità che si intendono perseguire e della natura degli interessi tutelati.
L’art. 2087 c.c., infatti, va interpretato in modo conforme all’art. 32 Cost., che tutela la salute come diritto fondamentale del cittadino, e all’art. 41 Cost. che pone precisi limiti all’esplicazione dell’iniziativa economica privata, stabilendo che la stessa non debba svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. In altre parole, la sicurezza del lavoratore costituisce un bene di rilevanza costituzionale che impone a chi si avvalga di una prestazione lavorativa di anteporre la sicurezza di chi esegue tale prestazione al proprio interesse imprenditoriale [4].
La materia della salute e sicurezza sul lavoro ha visto, specie negli ultimi anni, la giurisprudenza concentrarsi su alcune problematiche particolarmente spinose quali la natura oggettiva o meno della responsabilità ex art. 2087 c.c., il riparto dell’onere probatorio tra datore e lavoratore, le cause di esclusione della responsabilità del datore nonché la possibilità per il dipendente di astenersi dalla prestazione lavorativa a fronte dell’inadempimento datoriale agli obblighi di sicurezza.
La presente rassegna si prefigge, pertanto, l’obiettivo di focalizzarsi su queste macro-tematiche al fine di individuare gli orientamenti prevalenti sui quali si è assestata la giurisprudenza recente.
2. La natura della responsabilità ex art. 2087 c.c.
È ormai consolidato l’orientamento giurisprudenziale, condiviso anche dalla dottrina, secondo cui la responsabilità del datore di lavoro in materia di salute e sicurezza dei propri collaboratori sia di carattere contrattuale, in quanto il contenuto del contratto individuale di lavoro è integrato per legge, ai sensi dell’art. 1374 c.c.[5], dall’art. 2087 c.c., che impone l’obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale[6].
Non mancano tuttavia alcune pronunce secondo cui accanto al più specifico obbligo di protezione dell’integrità psico-fisica del lavoratore sancito dall’art. 2087 c.c. – ad integrazione ex lege delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro e la cui violazione determina il sorgere di responsabilità contrattuale – sul datore grava anche il generale obbligo di neminem ledere ex art. 2043 c.c. la cui violazione è fonte di responsabilità extracontrattuale. Conseguentemente il danno biologico – inteso come danno all’integrità psico-fisica della persona in sé considerata – può conseguire sia all’una che all’altra responsabilità[7].
La responsabilità del datore di lavoro, inoltre, non costituisce un’ipotesi di responsabilità oggettiva, ovvero che prescinde dall’elemento soggettivo del dolo o della colpa del datore di lavoro. Essa in tanto sorge in quanto sussiste una violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento[8]. Il datore di lavoro, infatti, è tenuto all’adempimento di un’obbligazione di mezzi e non di risultato; egli andrà, pertanto, esente da responsabilità tutte le volte in cui riesca a dimostrare di aver posto in essere le necessarie misure di tutela per i propri dipendenti[9].
Da ciò consegue che il mero fatto di lesioni riportate dal dipendente in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa non determina di per sé l’addebito delle conseguenze dannose al datore di lavoro, occorrendo la prova, come vedremo, dell’inadempimento datoriale[10].
In altre parole, la responsabilità datoriale non è suscettibile di essere ampliata fino al punto da comprendere ogni ipotesi di lesione dell’integrità psico-fisica dei dipendenti, atteso che nel nostro ordinamento non ha cittadinanza il principio della responsabilità oggettiva, ancorata al presupposto teorico che qualsiasi rischio possa essere evitato, anche se esorbitante da ogni umana prevedibilità. Ove la stessa fosse applicabile, solleciterebbe l’aberrante conseguenza dell’ascrivibilità al datore di lavoro di qualunque evento lesivo, pur se imprevedibile e inevitabile[11].
Sicuramente resta fermo, come vedremo nei paragrafi che seguono, che l’obbligo di prevenzione posto dall’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per la tutela del lavoro in base all’esperienza e alla tecnica. Tuttavia, da detta norma non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che il danno si sia verificato; occorre, invece, che l’evento sia riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da fonti legali o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati[12].
Sulla natura non oggettiva della responsabilità datoriale la giurisprudenza sia recente che risalente è granitica. Si registra, tuttavia, in un passato non proprio remoto una pronuncia isolata che, invece, attribuisce agli obblighi di sicurezza del datore di lavoro i caratteri della responsabilità oggettiva, “dovendo gravare sull’impresa, e non sui lavoratori o sui terzi, il rischio inerente all’eventuale pericolosità dei macchinari di cui essa si avvalga, per l’esercizio della sua attività e nel suo interesse”[13]. Secondo la sentenza citata, solo la responsabilità oggettiva garantisce una certa efficacia dissuasiva dall’uso di mezzi o attrezzature pericolose, facendo gravare i costi degli incidenti sull’impresa che tali mezzi utilizza, anziché sui lavoratori o sui terzi danneggiati: solo accollando al datore di lavoro il rischio inerente all’eventuale pericolosità dei macchinari e attrezzature si può dissuadere l’imprenditore dall’utilizzare mezzi ed attrezzature pericolose. Pertanto, nel caso in cui non sia tecnicamente possibile conseguire la sicurezza assoluta, il rischio e i costi degli eventuali incidenti devono inevitabilmente ricadere sul datore di lavoro, nel cui interesse l’attività si svolge.
3. Il riparto dell’onere probatorio: cosa deve provare il lavoratore?
Dalla circostanza che la natura della responsabilità del datore di lavoro sia contrattuale e non oggettiva derivano alcune conseguenze in ambito di riparto degli oneri probatori, riparto che deve avvenire secondo le regole di cui all’art. 1218 c.c. in materia di inadempimento delle obbligazioni.
Pertanto, il lavoratore che lamenti di aver subito un danno da infortunio sul lavoro o da malattia professionale deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno e il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione di lavoro.
In altre parole, il lavoratore, il quale lamenti di avere subito un danno alla salute a causa dell’attività lavorativa svolta, deve offrire la prova, oltre che dell’esistenza di tale danno, della nocività dell’ambiente di lavoro e del nesso di causalità tra l’uno e l’altra[14].
Cosa si intende per nocività dell’ambiente di lavoro?
Gli indici della nocività dell’ambiente lavorativo, che devono essere indicati dal lavoratore, non sono altro che i concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa. Si tratta, dunque, di tutte quelle caratteristiche dell’ambiente di lavoro che sono tali da mettere in pericolo la salute e la sicurezza dei dipendenti e che vanno neutralizzate o quanto meno tenute sotto controllo per evitare che possano essere fonte di pregiudizi. Chiaramente, affinché si possa parlare di nocività non basta che una situazione di pericolo si sia verificata occasionalmente o in un caso del tutto isolato, ma è necessario che essa si sia ripetuta nel tempo o in qualche modo sia prevedibile che possa ripetersi (ricordiamo, infatti, che siamo fuori dall’ambito della responsabilità oggettiva e che non si può pretendere dal datore di creare un ambiente di lavoro scevro da qualunque rischio anche imprevedibile e inevitabile).
Per meglio comprendere la nozione di nocività dell’ambiente di lavoro, si pensi al caso dell’aggressione subita dal ferroviere, minacciato di morte da due malavitosi, rinchiuso nel ripostiglio del treno e per tale motivo colto da infarto. Il lavoratore in sede giudiziale si era limitato a rappresentare l’aggressione subita senza nulla allegare circa la tipologia delle misure di protezione che il datore avrebbe dovuto adottare, i tempi e le modalità dell’evento, la tratta ferroviaria in cui si verificò nonché l’eventuale esistenza di analoghi fatti delittuosi che avrebbero dovuto indurre il datore ad apprestare speciali misure di sicurezza[15]. In altre parole, i giudici hanno escluso la responsabilità datoriale proprio perché non era stato provato che il grave episodio verificatosi costituisse una condizione abituale di svolgimento della prestazione lavorativa e, dunque, tale da indurre l’azienda ad intervenire per adottare appositi strumenti di protezione. La generica allegazione di un’aggressione non prevedibile per attività criminosa di terzi non può rientrare nell’ambito applicativo dell’articolo 2087 c.c., norma che non può essere dilatata fino a comprendervi ogni ipotesi di danno, sull’assunto che comunque il rischio non si sarebbe verificato in presenza di ulteriori accorgimenti di valido contrasto: in tal modo si perverrebbe, come evidenziato nel paragrafo precedente, all’applicazione di un principio di responsabilità oggettiva.
Non aveva fornito prova della nocività dell’ambiente di lavoro neanche la lavoratrice scivolata in ufficio su una carpetta di plastica trasparente e caduta a terra riportando lesioni da trauma[16]. Come evidenziato dai giudici di merito la dipendente non era inciampata su una sconnessione tra mattonelle o in un avvallamento causato da consunzione del pavimento, circostanze dalle quali, invece, avrebbe potuto desumersi la nocività dell’ambiente lavorativo.
Altro elemento che il lavoratore deve provare è il nesso di causalità tra l’evento dannoso e l’inadempimento del datore di lavoro agli obblighi di sicurezza. A differenza del processo penale – in cui l’accertamento del nesso causale deve avvenire secondo il meccanismo processuale del cosiddetto “oltre ogni ragionevole dubbio”, ovvero con un grado di probabilità prossimo alla certezza – in ambito civile l’accertamento del nesso causale va effettuato secondo la regola del “più probabile che non”: è chiaro che lo standard di cd. certezza probabilistica in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla cd. probabilità quantitativa (o statistica) della frequenza di un evento. In sostanza nell’accertamento del nesso causale non basta individuare le leggi scientifiche statistiche applicabili al caso concreto, specie se esse “non consentono una assoluta certezza della derivazione causale”[17].
Il nesso causale deve essere verificato calando la legge statistica nel caso concreto e, dunque, applicando il criterio della cd. probabilità logica, nell’ambito degli elementi di conferma e nell’esclusione di quelli alternativi, disponibili in relazione al caso concreto. Tale criterio, infatti, tiene conto dell’esistenza di fattori concausali idonei ad escludere il nesso di causalità laddove siano da soli idonei a cagionare l’evento dannoso[18]. In altre parole, bisogna accertare che la condotta datoriale sia stato l’unico fattore causale dell’evento dannoso o che comunque non esistano le “concause alternative” da sole idonee a cagionare l’evento.
Ciò rileva soprattutto quando si tratta di patologie a eziologia multifattoriale (come quelle legate all’esposizione ad amianto) rispetto alle quali la prova del nesso causale richiede la dimostrazione, almeno in termini di probabilità, che l’attività lavorativa abbia assunto un ruolo concausale, circostanza che può emergere dalle mansioni svolte, dalle condizioni di lavoro e dalla durata ed intensità̀ dell’esposizione a rischio[19]. Qualora ricorrano più cause idonee a cagionare l’evento dannoso, dunque, il nesso causale tra l’inadempimento del datore di lavoro e il danno patito dal lavoratore non è escluso; tuttavia, può essere ridotta proporzionalmente la responsabilità datoriale.
Si segnala sul punto il caso di un lavoratore e fumatore che aveva contratto un carcinoma polmonare, malattia che può avere molteplici cause tra cui il tabagismo. Nella specie, risultava accertata la prolungata esposizione all’amianto e agli idrocarburi senza utilizzo di alcun dispositivo di protezione. In tal caso, il tabagismo può costituire una concausa ai sensi dell’art. 41 c.p. – che trova applicazione anche in sede civile – e, dunque, può solo ridurre, ma non escludere la responsabilità datoriale non potendo considerarsi una causa alternativa da sola idonea a cagionare l’evento dannoso[20].
Sull’accertamento del nesso causale e sull’applicazione del criterio della probabilità logica si segnala, inoltre, il caso del dipendente dell’Italsider che aveva contratto il mesotelioma pleurico e che prima di lavorare per la menzionata azienda aveva fatto il manovale per alcuni anni presso altra ditta. Sebbene il mesotelioma sia una patologia a eziologia multifattoriale, i giudici di merito hanno ritenuto sussistente il nesso causale tra la malattia contratta e l’esposizione alle fibre di amianto presso Italsider: l’esposizione all’amianto doveva essere considerata la causa più probabile della malattia, valutati anche i tempi di latenza della patologia e l’esposizione diretta ed indiretta a fibre di amianto di notevole intensità e durata[21].
Sulla base del medesimo principio di diritto la Suprema Corte ha escluso la responsabilità datoriale nel caso del dipendente che aveva contratto una patologia polmonare con marcato deficit ventilatorio. Il lavoratore non aveva provato l’eziologia professionale della patologia in quanto solo il 10% delle imbarcazioni del cantiere in cui lavorava conteneva amianto nel rivestimento di alcune tubazioni della sala motori. Tale circostanza consentiva di escludere che potesse configurarsi un pericolo per esposizione personale dei lavoratori a fibre aerodisperse[22].
3.1 Segue. L’onere probatorio del datore di lavoro.
Per quanto riguarda, invece, l’onere probatorio del datore di lavoro, questi deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente l’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare l’evento dannoso[23].
Cosa si intende per misure idonee ad evitare il danno?
L’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure che, in concreto, si rendano necessarie per la tutela del lavoro in base all’esperienza e alla tecnica, definite misure di sicurezza “innominate”[24].
Sul punto in giurisprudenza sono individuabili due orientamenti: mentre il primo impone al datore di garantire la massima sicurezza ragionevolmente praticabile, il secondo esige la massima sicurezza tecnologicamente possibile. Negli ultimi tempi sembra prevalere il primo orientamento secondo cui dall’obbligo di prevenzione ex art. 2087 c.c. non deriva automaticamente la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno (essendo, come abbiamo visto, esclusa la responsabilità oggettiva del datore di lavoro ogni volta che il danno si sia verificato); occorre invece che l’evento sia riferibile a colpa del datore per violazione di obblighi di comportamento anche se non espressamente imposti da fonti legali o suggeriti dalla tecnica, ma comunque concretamente individuati. In altre parole, non può desumersi un obbligo assoluto in capo al datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta ad evitare qualsiasi danno al fine di garantire un ambiente di lavoro del tutto privo di rischi quando di per sé il pericolo di una lavorazione o di un’attrezzatura non sia eliminabile: non si può pretendere l’adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente impensabili[25].
Emblematico di questo approccio è sicuramente il caso del dipendente dell’ufficio postale vittima di una rapina che gli aveva cagionato danni alla salute per effetto di un’aggressione fisica subita. In tale ipotesi i giudici hanno ritenuto soddisfatto da parte di Poste l’adempimento dei suoi obblighi di sicurezza in ragione dell’adozione da parte della società di vetri blindati e della doppia porta nell’ingresso dell’ufficio postale escludendo la sussistenza di una responsabilità della datrice per non aver predisposto anche una vigilanza armata e un sistema di videosorveglianza[26].
Analogamente si segnala il caso della lavoratrice che aveva riportato una frattura per essere scivolata sul pavimento bagnato. Anche in questo caso è stata esclusa la responsabilità datoriale in quanto erano state adottate tutte le misure di sicurezza necessarie nell’esecuzione dell’attività pericolosa di pulizia dei pavimenti, quali l’avviso del pericolo con debita apposizione di segnali e l’avvertimento diretto da parte del materiale esecutore della pulizia del pavimento, mentre essa era in corso. Le misure adottate erano idonee ad evitare l’evento dannoso e non si poteva pretendere che il datore per annullare qualsiasi rischio facesse effettuare le pulizie fuori dall’orario di lavoro, come invece preteso dalla lavoratrice infortunata. Come chiarito dalla Suprema Corte, infatti, ricorre la violazione di una regola di prudenza innominata quando essa sia debitamente qualificata, in modo da integrare il precetto dell’art. 2087 c.c., ma non quando consista in una mera affermazione disancorata da un accertamento in fatto in ordine alla sua necessità per l’inidoneità della misura adottata[27].
E’ stata esclusa la responsabilità datoriale anche per l’infortunio consistito nella lesione alla mano destra durante un’operazione di taglio di un pezzo di legno con troncatrice; la società datrice di lavoro aveva, infatti, messo a disposizione del dipendente una macchina troncatrice in perfetto stato di manutenzione, dotata di dispositivi di protezione atti ad evitare il contatto con la lama e aveva formato ed informato periodicamente il lavoratore sui rischi connessi all’utilizzo delle varie macchine e all’utilizzo dei dispositivi[28]. I giudici di merito avevano correttamente dato atto della idoneità degli strumenti di lavoro e della predisposizione delle necessarie misure di sicurezza, e valorizzato il profilo della specifica formazione ed informazione del lavoratore circa le procedure da adottare per evitare il verificarsi dei rischi connessi alla lavorazione.
È stata confermata, invece, la responsabilità del datore nel caso dell’infortunio del portalettere caduto dallo scooter nell’esercizio delle proprie mansioni in quanto era stato accertato che il mezzo messo a disposizione del dipendente era inadeguato alla percorrenza di strade non asfaltate e particolarmente sconnesse come quella nella quale il lavoratore aveva riportato la caduta[29]. Nel caso di specie è evidente come il datore avrebbe dovuto fornire al dipendente un mezzo di trasporto in buono stato di manutenzione e tale da consentirgli di adempiere la prestazione in assoluta sicurezza.
Si segnala, tuttavia, che non manca qualche pronuncia secondo cui il sistema di protezione della salute del lavoratore sia ispirato al principio della massima protezione tecnologicamente fattibile[30] che non consente al datore di lavoro – qualora esista sul mercato un sistema di lavorazione atto a proteggere più efficacemente il lavoratore – di abbassare il livello di protezione mantenendo in essere sistemi obsoleti, comportanti un livello di protezione minore; e ciò, quand’anche si tratti di una nuova macchina la cui adozione incida sulle caratteristiche del prodotto e sulle preferenze di mercato.
Si pensi al caso della lavoratrice che riportava gravi lesioni dopo aver provato a recuperare una spatola che le era caduta nell’impastatrice del torrone; tale incidente si era verificato in quanto il vecchio macchinario adoperato non aveva un dispositivo di blocco automatico né un pulsante di arresto in caso di emergenza, sistemi presenti, invece, nella macchina di più recente concezione che, però, non consentiva di mantenere immutate le caratteristiche del prodotto artigianale[31]. Il giudice ha ritenuto prevalente l’interesse alla tutela della sicurezza del lavoratore in quanto incombe sul datore l’obbligo di garantire la massima protezione tecnologicamente possibile.
Dall’excursus di casi pratici appena svolto è emerso come la giurisprudenza continui ancora ad oscillare, in merito al principio di massima sicurezza tecnologica, tra due diversi orientamenti ovvero quello della massima sicurezza tecnologicamente possibile e quello della massima sicurezza ragionevolmente praticabile[32].
Secondo il primo orientamento l’obbligazione di sicurezza ha un contenuto aperto in quanto il datore di lavoro deve adottare tutte quelle misure preventive suggerite dalla scienza più evoluta in un dato momento storico, indipendentemente dalla concreta fattibilità e dal costo economico di queste. Tale lettura degli obblighi datoriali se da un lato offre un maggiore livello di protezione al dipendente, dall’altro dà un’ampia discrezionalità al giudice in una materia molto delicata, disorientando così il datore di lavoro tenuto all’adempimento[33].
Il secondo orientamento, invece, chiede al datore di lavoro l’adozione delle cautele generalmente praticate ed acquisite nei diversi settori interessati bilanciando le esigenze di protezione con quelle economico-produttive perseguite dall’impresa e generando un pericoloso abbassamento della soglia di tutela[34].
Andrebbero, in sostanza, contemperati i due orientamenti: fermo restando che l’obbligo generale ex art. 2087 c.c. va inteso in senso dinamico e non statico (ovvero come obbligo di costante aggiornamento e allineamento dell’assetto organizzativo e produttivo ai risultati raggiunti dal progresso tecnologico e scientifico), bisogna mantenersi nell’alveo del concretamente attuabile, come accade nel caso di rischi non tipizzati o di nuova emersione[35].
4. Le cause di esclusione della responsabilità ex art. 2087 c.c.
Il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore anche qualora lo stesso sia ascrivibile non soltanto ad una disattenzione del dipendente, ma anche a sua imperizia, negligenza e imprudenza. In altre parole, l’addebito di responsabilità a carico del datore di lavoro non è escluso dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore che abbiano contribuito alla verificazione dell’evento dannoso: la violazione dell’obbligo di sicurezza integra, pertanto, l’unico fattore causale dell’evento, non rilevando in alcun modo il concorso di colpa del lavoratore[36].
La ratio della normativa antinfortunistica, infatti, è proprio quella di prevenire tutte le condizioni di rischio degli ambienti di lavoro, anche quelle dovute alla possibile negligenza, imperizia o imprudenza dei lavoratori destinatari della tutela, non essendo né imprevedibile né anomala una dimenticanza dei lavoratori nell’adozione di tutte le cautele necessarie[37].
La posizione di garanzia di cui è titolare il datore, dunque, gli impone di apprestare tutti gli accorgimenti e le cautele necessari a garantire la massima protezione del bene protetto (la salute e l’incolumità del lavoratore): tale posizione esclude che si possa fare affidamento sul diretto e autonomo rispetto da parte del lavoratore delle norme precauzionali. Pertanto, il datore di lavoro è sempre considerato responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente[38]. La sua posizione di garanzia, insomma, “è estesa anche al controllo della correttezza dell’agire del lavoratore”[39]. Come dire, il datore deve proteggere il dipendente anche da sé stesso: egli merita una tutela “a oltranza”, pure nel caso in cui ponga in essere condotte certamente concausali rispetto all’evento lesivo[40].
L’inosservanza delle norme prevenzionali da parte del datore di lavoro ha, quindi, valore assorbente rispetto al comportamento del lavoratore, la cui condotta, pertanto, può assumere rilevanza, solo dopo che da parte dei soggetti obbligati, siano state adempiute le prescrizioni di loro competenza[41].
La responsabilità del datore, dunque, potrà dirsi esclusa solo quando il comportamento del lavoratore si ponga come causa esclusiva dell’evento essendo di gravità tale da non poter essere più ricondotto al potere di controllo dell’imprenditore: in tal caso si interrompe il nesso causale[42].
Sono, dunque, individuabili dei casi in cui il datore è esonerato da responsabilità ex art. 2087 c.c. per il comportamento del dipendente. Si tratta dei casi in cui il comportamento del lavoratore assuma caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo tipico e alle direttive ricevute, in modo da porsi quale causa esclusiva dell’evento. Dunque, integra il cd. “rischio elettivo” una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa o anche ad essa riconducibile, ma esercitata e intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, al di fuori dell’attività lavorativa e prescindendo da essa, come tale idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata[43]. Si deve, dunque, trattare di un comportamento che sia autosufficiente nella determinazione dell’evento e non una mera concausa dello stesso.
Tuttavia, è opportuno evidenziare come la valenza attribuita dai giudici al comportamento esorbitante del lavoratore sembra differire a seconda che sia o meno violata, nel caso concreto, l’obbligazione di sicurezza da parte dell’imprenditore[44]. In altre parole, qualora il datore risulti inadempiente, solo il comportamento doloso del prestatore di lavoro o il c.d. rischio elettivo possono escludere la responsabilità datoriale[45]. Invece, nel caso in cui il datore abbia osservato tutte le norme e cautele infortunistiche, la giurisprudenza tende ad ampliare il novero delle condotte del dipendente rientranti nei concetti dell’abnormità e dell’esorbitanza sino a ricomprendere quei casi in cui le azioni del lavoratore si realizzino per sua esclusiva imprudenza, imperizia o negligenza, per avere cioè violato le istruzioni impartitegli o comunque avere svolto il lavoro assegnatogli in modo difforme da quello richiesto[46].
Tale approccio comporta che, come vedremo, il medesimo comportamento da parte del dipendente sarà considerato abnorme nel caso in cui il datore abbia adempiuto gli obblighi di sicurezza e sarà considerato meramente imprudente nel caso in cui il datore li abbia violati.
A tal proposito si segnala una recente pronuncia che ha escluso la responsabilità per l’infortunio del lavoratore considerato che, seppure adeguatamente istruito sull’utilizzo della cintura di sicurezza e nonostante i costanti richiami e la vigilanza sul corretto uso delle misure di protezione antinfortunistiche, il giorno dell’incidente aveva inopinatamente omesso di agganciare alla cesta la cintura anticaduta, pur regolarmente indossata, ponendo in essere una condotta anomala, tale da porsi quale causa esclusiva dell’evento[47].
La medesima condotta (consistente nel non allacciare la cintura di protezione) non è stata, invece, considerata abnorme e tale da escludere la responsabilità datoriale in un altro caso, in cui la società datrice non aveva adeguatamente formato i propri dipendenti all’uso dei dispositivi di sicurezza[48] né verificato il loro corretto utilizzo.
Un tale approccio da parte della giurisprudenza è stato esplicitato anche in una recentissima pronuncia in cui la Suprema Corte ha chiarito che nel caso di infortunio sul lavoro, deve escludersi la sussistenza di un concorso di colpa della vittima, ai sensi dell’articolo 1227 c.c., quando risulti che il datore di lavoro abbia mancato di adottare le prescritte misure di sicurezza, oppure abbia egli stesso impartito l’ordine, nell’esecuzione puntuale del quale si sia verificato l’infortunio, o ancora abbia trascurato di fornire al lavoratore infortunato un’adeguata formazione e informazione sui rischi lavorativi. Ricorrendo tali ipotesi, l’eventuale condotta imprudente della vittima degrada a mera occasione dell’infortunio ed è perciò giuridicamente irrilevante. Nella specie, il lavoratore aveva perso la vita a seguito dello scoppio di un fusto per olio idraulico; il datore di lavoro non aveva dimostrato di aver consegnato al lavoratore la procedura operativa scritta e che l’esecuzione dei lavori di saldatura fosse stata una autonoma iniziativa del lavoratore, ignota alla società datrice di lavoro[49].
Si pensi al caso dell’operaio che mentre stava lavorando su di un ponteggio fisso posizionato sul lato esterno del muro in fase di costruzione, era caduto da un vano finestra alto circa 5 metri che avrebbe dovuto essere protetto attraverso un ponteggio mobile che non risultava essere stato posizionato al momento dell’infortunio. In tale ipotesi l’inadempimento del datore di lavoro è talmente grave che una altrettanto grave imperizia del dipendente (nella specie, caduto mentre tentava di gettare una carta, utilizzata per pulirsi le mani, all’interno di uno dei blocchi con i quali si stava realizzando il muro) non è idonea a escludere il nesso causale[50].
Analogamente è stato escluso il carattere abnorme della condotta dell’addetta alla pulizia dei locali aziendali infortunatasi mentre puliva il pavimento sotto il nastro trasportatore in movimento. La pratica, contraria alle istruzioni di carattere generale, di svolgere i lavori di pulizia degli ambienti con i nastri in movimento era ben nota e tollerata per fini di maggiore comodità per cui la condotta colposa della lavoratrice non era da sola sufficiente a determinare l’evento dannoso: esso sarebbe stato evitato se l’azienda avesse opportunamente controllato il corretto blocco dei nastri prima dell’intervento del personale di pulizia[51].
Diversamente, è stata esclusa la responsabilità datoriale nel caso del giardiniere comunale che aveva deciso di utilizzare una scala per tagliare un ramo a 4 m di altezza in luogo del cestello elevatore indicato dal datore. L’intervento di taglio del ramo pericolante, infatti, era stato programmato adeguatamente e nel corso della riunione erano state specificamente concordate le modalità. Tali circostanze facevano, pertanto, ritenere abnorme ed imprevedibile l’iniziativa autonoma di procedere – in attesa dell’arrivo del veicolo comunale munito di cestello elevatore – mediante l’uso della scala, anche a fronte di una segnalazione di pericolosità risalente nel tempo che non connotava, quindi, l’intervento come di particolare urgenza[52].
Analogamente è stata esclusa la responsabilità datoriale per l’infortunio di un operaio che aveva provato a tagliare un ramo di un albero che cadeva su un cavo elettrico, attività non richiesta dal datore, svolta senza interpellare il soggetto designato dall’azienda come incaricato di raccogliere le segnalazioni di ostacoli imprevisti e senza domandare l’invio sul posto di apposita strumentazione idonea allo svolgimento in sicurezza di quella operazione. Tali circostanze hanno escluso la responsabilità datoriale sia per violazione dell’obbligo di vigilanza sia per violazione dell’obbligo di mettere a disposizione attrezzature adeguate. In tal caso la Corte, confermando la sentenza di merito, ha chiarito che non è ipotizzabile a carico dell’imprenditore un obbligo di sicurezza e prevenzione in relazione a condotte del dipendente realizzate successivamente al compimento della prestazione lavorativa richiesta, che non rientrino nella suddetta prestazione e siano state effettuate senza darne preventiva comunicazione secondo le direttive impartite[53].
5. Inadempimento del datore e eccezione di inadempimento del dipendente
Come visto nei paragrafi precedenti, il datore di lavoro è obbligato ad assicurare condizioni di lavoro idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni ed è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Secondo la giurisprudenza ormai consolidata la violazione di tale obbligo legittima i lavoratori a non eseguire la prestazione, eccependo l’inadempimento altrui ex art. 1460 c.c.[54].
Infatti, la protezione, anche di rilievo costituzionale, dei beni presidiati dall’art. 2087 c.c. postula meccanismi di tutela delle situazioni soggettive potenzialmente lese in tutte le forme che l’ordinamento conosce. Dunque, per garantire l’effettività della tutela in ambito civile, sono consentite non solo azioni volte all’adempimento dell’obbligo di sicurezza o alla cessazione del comportamento lesivo ovvero a riparare il danno subito, ma anche il potere di autotutela contrattuale rappresentato dall’eccezione di inadempimento[55], mediante il rifiuto dell’esecuzione della prestazione in ambiente nocivo soggetto al dominio dell’imprenditore[56].
Tuttavia, l’eccezione di inadempimento deve essere conforme a buona fede e non pretestuosamente strumentale all’intento di sottrarsi alle proprie obbligazioni contrattuali. Infatti, nei contratti a prestazioni corrispettive, tra i quali rientra il contratto di lavoro, qualora una delle parti adduca a giustificazione della propria inadempienza l’inadempimento dell’altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, considerando non tanto il mero elemento cronologico quanto i rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni rispetto alla funzione economico sociale del contratto.
Si pensi al caso del dipendente con mansioni di macchinista che era stato licenziato per essersi rifiutato di condurre il treno senza la presenza in cabina di un secondo agente abilitato alla condotta. La Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito, che aveva ritenuto ingiustificato il licenziamento irrogato, ritenendo che non avesse fatto la valutazione comparativa tra l’inadempimento datoriale agli obblighi di sicurezza e l’inadempimento del dipendente: non poteva, infatti, ritenersi sussistente un vero e proprio inadempimento del datore che aveva rispettato tutte le misure “nominate” previste dalla valutazione dei rischi, come la sorveglianza sanitaria tesa proprio a ridurre e a prevenire i rischi di malori[57].
In altre parole, l’eccezione di inadempimento presuppone non una qualsiasi violazione dell’obbligo di sicurezza, ma solo quella che sia grave e non abbia carattere pretestuosamente strumentale. é, pertanto, necessaria una valutazione di proporzionalità tramite la comparazione tra inadempimento cronologicamente anteriore e prestazione corrispettiva rifiutata[58].
Di recente è stato altresì statuito che in caso di violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., non solo è legittimo, a fronte dell’inadempimento altrui, il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, ma costui conserva, al contempo, il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore[59]. In sostanza, la violazione degli obblighi di sicurezza rende la prestazione inesigibile e ciò “non libera il datore di lavoro dalla erogazione della retribuzione in ragione della responsabilità della parte inadempiente nella causazione dell’inattuazione dello scambio”[60].
Accanto all’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., si segnala, per completezza, l’art. 44 del d.lgs. n. 81/2008 rubricato “diritti dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato”. Tale norma stabilisce che il lavoratore non può subire alcun pregiudizio e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato. In sostanza, la norma legittima l’interruzione del lavoro e l’abbandono della zona di pericolo in presenza di un «pericolo grave, immediato e che non può essere evitato». La disposizione è inclusa nel Titolo I, Capo II, Sezione VI del decreto legislativo, dedicato alla «Gestione delle emergenze». Ne consegue la rigorosità dei requisiti richiesti: il pericolo deve essere incombente e non permettere alternative se non quelle dell’abbandono dell’attività lavorativa. Si pensi a eventi estremi, quali “un incendio, una esplosione, la fuoriusciuta di gas, il possibile crollo di una struttura o di un’attrezzatura: un’emergenza che impone la sospensione immediata del lavoro”[61].
Conclusioni
Come è emerso dalla giurisprudenza esaminata nel corso del presente contributo, sebbene sia ormai pacifico che la responsabilità ex art. 2087 c.c. non costituisca un’ipotesi di responsabilità oggettiva (essendo questa un’aberrazione giuridica tanto in ambito penale quanto in ambito civile), di fatto essa rischia spesso di tradursi in una responsabilità che prescinde dalla colpevolezza del datore. Pronunce, infatti, che impongono al datore di garantire al dipendente la massima sicurezza tecnologicamente possibile, di fatto non fanno altro che dilatare la responsabilità del datore fino al punto da pretendere l’adozione di qualsiasi cautela per far fronte a qualsiasi rischio anche oggettivamente non evitabile o perché imprevedibile o perché di nuova emersione.
Tale impostazione sembra comunque superata dalla giurisprudenza maggioritaria che tiene conto anche delle esigenze dell’impresa e della umana impossibilità di scongiurare qualsiasi tipo di rischio. In tale ottica, dunque, si pongono tutte le pronunce che escludono la responsabilità del datore per le condotte abnormi del dipendente: nel momento in cui l’imprenditore ha adottato tutte le cautele necessarie a prevenire ed evitare gli eventi dannosi vigilando anche sul corretto utilizzo dei DPI da parte dei dipendenti, non potrà imputarsi alcuna responsabilità in presenza di condotte totalmente esorbitanti dal normale processo di lavoro e tali da escludere qualsiasi nesso di causalità tra il comportamento del datore e l’evento dannoso.
Altra questione su cui la giurisprudenza di legittimità si è soffermata anche in tempi recenti è sicuramente quella relativa agli strumenti a disposizione del dipendente per proteggere la propria incolumità nel caso in cui il datore non adempia agli obblighi di protezione. Tra questi strumenti l’eccezione di inadempimento è quello che è stato oggetto di interessanti pronunce: mentre qualsiasi tipo di inadempimento del datore è tale da escludere il concorso di colpa del dipendente imprudente, non ogni inadempimento datoriale può legittimare la reazione del lavoratore: va sempre verificata da parte del giudice la gravità dell’inadempimento al fine di valutare la proporzionalità del rifiuto del lavoratore di rendere la prestazione.
Riferimenti bibliografici
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[1] Per una compiuta ricostruzione del dibattito dottrinale fino al 2008 in materia si veda Albi, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, Art. 2087, Il Codice civile, Commentario Busnelli, Giuffrè, 2008.
[2] Ferraro, Il datore di lavoro e l’obbligazione di sicurezza: attribuzione di compiti e delegabilità di funzioni nel complessivo quadro dei nuovi adempimenti, in Montuschi (a cura di), Ambiente, Salute e Sicurezza. Per una gestione integrata dei rischi da lavoro, Giappichelli, 1997, 114.
[3] Rusciano, Natullo, Ambiente e sicurezza del lavoro, in F. Carinci (diretto da) Diritto del lavoro. Commentario, VIII, Utet Giuridica, 2007, 81.
[4] Tutte le sentenze citate sono tratte da Olympus.uniurb.it. Cass., 15 marzo 2016, n. 5053; sul punto si veda Albi, op. cit., 51 e ss., secondo cui la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2087 c.c. consente di attribuire rilevanza centrale alla dignità della persona che lavora. Pertanto, “la chiave di lettura della personalità morale ex art. 2087 c.c. è proprio da rinvenire nella dignità come valore giuridico e come fondamento dei diritti inviolabili della persona”.
[5] Secondo l’art. 1374 c.c. il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o in mancanza, secondo gli usi e l’equità.
[6] Cass., 17 febbraio 2009, n. 3788; Cass., 13 agosto 2008, n. 21590; Cass., 18 aprile 2014, n. 9055; Campanella, Clausole generali e obblighi del prestatore di lavoro, in Aa.Vv., Clausole generali e diritto del lavoro, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro, Roma 29 – 30 maggio 2014, Giuffrè, 2015, 250 ss secondo cui l’art. 2087 c.c. configura un obbligo di protezione a carattere accessorio, specificazione delle generali direttive della correttezza e buona fede; Gragnoli, L’obbligazione di sicurezza e la responsabilità del datore di lavoro, Trattato di diritto privato diretto da Bessone, Il lavoro subordinato, a cura di Carinci, Torino, 2007, 443 ss; Nogler, La deriva risarcitoria della tutela dei diritti inviolabili del lavoratore dipendente, in QDLRI, 2006, n. 29, 23 ss; Marino, La responsabilità del datore di lavoro per infortuni e malattie da lavoro, Milano, 990, 71 ss.; Evangelista, Procedimenti e mezzi della tutela della salute in azienda, Milano, 1984.
[7] Cass., 20 gennaio 2020, n. 1109; sul concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale si veda Albi, op. cit., 153 e ss. secondo cui spesso si registra la tendenza a cumulare o ad alternare come fonti dell’obbligo di sicurezza il contratto di lavoro subordinato e il fatto illecito: tale tendenza è giustificata da un’esigenza di giustizia sostanziale che però rischia di tradursi “in svalutazione dell’obbligo contrattale in quanto tale e di confluire nel fenomeno di dilagante espansione della responsabilità civile”.
[8] Cass., 29 gennaio 2013, n. 3288; Cass., 26 luglio 2019, n. 20366; Cass., 25 novembre 2019, n. 30679; Cass., 11 ottobre 2019, n. 25689.
[9] Battistelli, Sui confini del debito di sicurezza: quale responsabilità del datore di lavoro? inRIDL, 2, 2018; Natullo, Il quadro normativo dal codice civile al codice della sicurezza sul lavoro. Dalla massima sicurezza (astrattamente) possibile alla massima sicurezza ragionevolmente (concretamente) applicata, Olympus W.P., n. 39/2014, 32.
[10] Cass., 8 ottobre 2018, n. 24742.
[11] Cass., 11 aprile 2013, n. 8855; Cass., 6 novembre 2019, n. 28516.
[12] Cass., 19 ottobre 2018, n. 26495.
[13] Cass., 25 febbraio 2008, n. 4718 in Nuova Giur. Civ., 2008, 7-8, con nota di Bertocco.
[14] Cass., 30 ottobre 2019, n. 27916; Cass., 14 agosto 2019, n. 21411.
[15] Cass., 6 novembre 2019, n. 28516.
[16] Cass., 8 ottobre 2018, n. 24742.
[17] Cass., civ, Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576.
[18] Cass., 2 agosto 2017, n. 19270; Cass., 3 gennaio 2017, n. 47; Cass., 27 settembre 2018, n. 23197.
[19] Cass., 23 maggio 2018, n. 12808.
[20] Cass., 12 giugno 2019, n. 15762.
[21] Cass., 12 giugno 2019, n. 15761.
[22] Cass., 24 ottobre 2018, n. 26995.
[23] Cass., 4 febbraio 2016, n. 2209; Cass., 8 ottobre 2018, n. 24742; Cass., 27 febbraio 2019, n. 5749.
[24] Cass., 4 giugno 2019, n. 15167.
[25] Cass., 27 febbraio 2017, n. 4970.
[26] Cass., 26 luglio 2019, n. 20364.
[27] Cass., 23 maggio 2019, n. 14066.
[28] Cass., 19 ottobre 2018, n. 26495.
[29] Cass., 22 marzo 2019, n. 8208.
[30] Cass., 16 maggio 2017, n. 12110.
[31] Cass., 8 agosto 2017, n. 19709.
[32] Marchesini, La responsabilità del datore di lavoro nella prevenzione delle condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia del lavoratore, in DSL, 2018, 2, 42.
[33] Delogu, voce Salute e sicurezza sul lavoro, in Digesto delle Discipline privatistiche. Sezione commerciale, VIII ed., Utet, 2017, 438.
[34] Marchesini, La responsabilità del datore di lavoro nella prevenzione delle condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia del lavoratore, ibidem.
[35] Fantini, Giuliani, Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Le norme, l’interpretazione e la prassi, Giuffrè, 2011, 114.
[36] Cass., 25 febbraio 2011, n. 4656; Cass., 4 dicembre 2013, n. 27127.
[37] Cass., 25 febbraio 2019, n. 5419.
[38] Cass. pen., Sez. IV, 18 aprile 2018, n. 17404.
[39] Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza, Ipsoa, 2014, 261.
[40] De Santis, Le altre posizioni soggettive rilevanti, in Masia, De Santis (a cura di), La tutela penale della sicurezza del lavoro, Jovene, 2006, 62.
[41] Martinelli, L’individuazione e la responsabilità del lavoratore in materia di sicurezza sul lavoro, Olympus W.P., n. 37/2014, 39.
[42] Cass., 29 maggio 2014, n. 12046.
[43] Cass., 10 giugno 2019, n. 15562.
[44] Battistelli, Sui confini del debito di sicurezza: quale responsabilità del datore di lavoro? RIDL, 2018, 2, II, 255.
[45] Cass., 5 dicembre 2017, n. 29115; Cass., 12 aprile 2016, n. 7125; Cass., 9 marzo 2015, n. 4668.
[46] Cass., 24 ottobre 2016, n. 21389; Cass., 11 aprile 2013, n. 8861.
[47] Cass., 11 febbraio 2020, n. 3282.
[48] Cass., 24 gennaio 2018, n. 1764
[49] Cass., 15 maggio 2020, n. 8988.
[50] Cass., 19 aprile 2019, n. 11114.
[51] Cass., 25 febbraio 2019, n. 5419.
[52] Cass., 24 ottobre 2016, n. 21389.
[53] Cass., 5 gennaio 2018, n. 146.
[54] Cass., 7 maggio 2013, n. 10553; Cass., 10 agosto 2012, n. 14375.
[55] Si vedano le riflessioni di Albi, Eccezione di inadempimento e obbligo di sicurezza, in RIDL, 2009, II; Stolfa, L’exceptio inadimplenti del lavoratore a fronte della violazione degli obblighi di sicurezza: limiti dell’elaborazione giursprudenziale e supplenza della dottrina, RGL, 2016, 2, II; Ferrante, Ancora in tema di eccezione di inadempimento nel contratto di lavoro subordinato (ovvero quando la mora credendi è invocata a sproposito), in DRI, 2016.
[56] Cass., 19 gennaio 2016, n. 836.
[57] Cass., 29 marzo 2019, n. 8911.
[58] Speziale, Violazione degli obblighi di sicurezza e abbandono del posto di lavoro, in Bonardi, Carabelli, D’Onghia, Zoppoli (a cura di), Covid-19 e diritti dei lavoratori, Ediesse, 2020, 88 e ss.
[59] Cass., 1 aprile 2015, n. 6631; Cass., 26 agosto 2013, n. 19573.
[60] Speziale, Mora del creditore e contratto di lavoro, Cacucci, 1992, 137.
[61] Pascucci, Coronavirus e sicurezza sul lavoro, tra “raccomandazioni” e protocolli. Verso una nuova dimensione del sistema di prevenzione aziendale? In DSL, 2019, 2, 105.

