La Corte di Cassazione con sentenza n. 17205 del 26 giugno 2025 è tornata a pronunciarsi sul trasferimento di ramo d’azienda e, in particolare, sui presupposti necessari affinché si configuri la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte i lavoratori avevano impugnato il trasferimento del ramo d’azienda relativo alla direzione recupero crediti, deducendo la nullità della cessione per insussistenza dell’autonomia del ramo ceduto e per difetto di preesistenza dello stesso ramo rispetto alla cessione, elementi indispensabili perché possa trovare applicazione l’art. 2112 c.c.
L’orientamento consolidato della Cassazione
Secondo il consolidato orientamento della Cassazione il ramo d’azienda rilevante ex art. 2112 c.c. deve avere quell’autonomia funzionale idonea a consentire lo svolgimento dell’attività imprenditoriale sul mercato, quindi anche verso terzi e non solo verso la cedente.
Elemento costitutivo della cessione è, dunque, «l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali e organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione» (Cass. 11528/2024; Cass. 2272/2022).
In altre parole, il ramo ceduto deve essere in grado di svolgere attività di impresa indipendentemente dall’eventuale contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato fra cedente e cessionario. Non trova applicazione l’art. 2112 c.c., invece, nel caso in cui l’attività della cessionaria sia rimasta indissolubilmente legata, in termini di vera e propria dipendenza funzionale, ad alcune attività rimaste alla cedente.
Il ramo “dematerializzato” o “leggero”
Per costante giurisprudenza è possibile anche il trasferimento di un ramo d’azienda “dematerializzato” o “leggero”, ovvero nel quale il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni.
Tuttavia, affinché possa parlarsi di ramo d’azienda è necessario che il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare know-how e cioè di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio, circostanza che non ricorreva nel caso di specie.
Un gruppo di dipendenti può costituire un autonomo ramo di azienda, ma è indispensabile che:
- gli stessi siano stabilmente coordinati e organizzati,
- le loro prestazioni siano in grado di fornire, autonomamente, servizi e beni individuabili.
Pertanto, anche il solo trasferimento dei lavoratori è idoneo ad integrare la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c., purchè gli stessi abbiano quella “autonomia operativa” necessaria per determinare di per sé il contenuto della prestazione (Cass. 15469/2025; Cass. 10730/2016; Cass. 1316/2017).
La decisione
I principi enunciati nei paragrafi precedenti non hanno trovato applicazione nella sentenza della Corte d’Appello oggetto di ricorso in Cassazione. I giudici di seconde cure, infatti, aveva ritenuto sussistente l’autonomia funzionale del ramo sottolineando la natura dematerializzata del compendio ceduto, composto da personale specializzato, in possesso di specifiche conoscenze, competenze e know-how e la non necessità che fossero trasferite attività e strutture collegate al recupero crediti.
Invece, nel caso di specie era emerso che la società cessionaria per poter svolgere la propria attività aveva necessariamente dovuto concludere contratti di servicing con la società cedente o con altre società del gruppo. L’attività prima svolta in proprio dalla cedente era caratterizzata dalla completezza del servizio svolto, avendo in carico sia la gestione amministrativa dei crediti in sofferenza, sia la gestione delle attività di recupero dei crediti e dei relativi beni, oltre che ovviamente la gestione amministrativa del servizio e del personale; il complesso dell’attività ceduta risultava, invece, frutto di un’operazione di frazionamento artificiosa perché alla cedente erano comunque rimaste la titolarità degli assets, una parte della attività di recupero, il servizio di gestione amministrativa del personale e delle attività.
Per tali ragioni la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza di appello affinché «siano tratte tutte le conseguenze dall’accertamento del rilievo che, nel caso concreto, ha avuto la necessaria interazione della cessionaria con la struttura di supporto tecnico e amministrativo rimasta presso la cedente».
Conclusioni
La giurisprudenza consolidata è molto attenta al corretto accertamento della sussistenza dei necessari presupposti del trasferimento d’azienda e di ramo d’azienda al fine di contrastare fenomeni di applicazione illegittima dell’art. 2112 c.c. che consistono nel trasferimento di fittizi rami che, sostanzialmente, maschera una mera esternalizzazione di lavoratori.
Frequente, infatti, è il ricorso al trasferimento del ramo d’azienda a scopi elusivi, in particolare per godere di vantaggi fiscali, per evitare il consenso del contraente ceduto (necessario in caso di cessione di contratti) o per evitare il superamento dei limiti numerici di organico fissati dal legislatore per l’applicazione di trattamenti più favorevoli ai dipendenti.

